Ci sono donne che, con la loro presenza online, scardinano uno stereotipo alla volta, donne che non addolciscono la realtà, non si vestono per rassicurare e non chiedono il permesso per occupare spazio.
Dalila Bagnuli è una di loro.
Content creator, attivista e divulgatrice per la liberazione dei corpi, dal 2020 usa la moda e la comunicazione digitale per raccontare ciò che spesso viene taciuto: la verità sulle discriminazioni, sulla grassofobia, sull’accettazione impossibile e sulla rappresentazione che manca. La sua è una voce lucida, rabbiosa al punto giusto, profondamente femminista.
In questa intervista per Imprenditrici con Stile parliamo di tutto ciò che la muove: il valore politico dei corpi non conformi, lo shopping second hand come strumento di liberazione, la professionalità che non deve mai passare dall’approvazione degli altri e la moda come linguaggio identitario.
Comincerei l’intervista parlando di te: ti va di presentarti brevemente e di parlarci del tuo percorso professionale?
Ciao Fabiola, io sono Dalila Bagnuli.

Cosa ti ha spinto a costruire uno spazio online così autentico, dove parli di moda, corpo e accettazione?
Mi ha spinto la rabbia: la rabbia della mancata la rappresentazione e la rabbia dovuta bullismo che ho subito in passato, quando ancora in realtà non abitavo un corpo davvero grasso, la rabbia del rendermi conto che io stessa mettevo in pratica delle cose estremamente tossiche, problematiche e sessiste nei confronti delle altre persone.
Tutto il mio percorso è strettamente collegato al femminismo e nel momento in cui ho preso una coscienza femminista per me è venuto naturale parlare del mio corpo, del modo in cui lo raccontavo attraverso lo stile e la moda. Anche parlare di accettazione in varie sfaccettature e non soltanto con degli imperativi tipo “Devi amarti, devi accettarti!”, come spesso viene comunicato sui social, ma anche ammettendo che è davvero molto difficile farlo, forse è addirittura impossibile.
Come si intrecciano oggi la tua attività professionale e la tua presenza digitale? Hai trovato un equilibrio tra lavoro, attivismo e vita personale?

No, non sono riuscita a trovare un equilibrio fra queste tre cose: ci sono dei periodi in cui vado in burnout, periodi in cui invece ho bisogno di ricaricarmi. Se e quando riuscirò a trovare un equilibrio, però, ve lo farò sapere.
Il tuo lavoro è fortemente legato al tema del bodypositive. Cosa significa per te, oggi, parlare di accettazione del corpo e come pensi sia cambiato il modo in cui se ne discute online?
Parlare di accettazione del corpo per me è a tratti tossico.

Secondo me questo è molto più importante
Secondo te, la comunicazione sul corpo femminile è davvero diventata più inclusiva o c’è ancora molta strada da fare?

Forse c’è stato qualche passo avanti, ma c’è ancora tantissima strada da fare, tantissima.
Quali sono gli stereotipi o i pregiudizi che ti capita ancora di incontrare. Come li affronti?
Sono vari e soprattutto collegati al mio corpo e alla mia età.
Quando, ad esempio tengo dei discorsi sulle tematiche di genere a persone più grandi di me, c’è un po’ quel pregiudizio ageista secondo cui “non posso spiegare la vita alle persone, perché troppo giovane”, nonostante io non sia più una ragazzina (ho 26 anni).
Un altro stereotipo che mi capita spesso è legato alla quantità di cibo che mangio, cosa molto curiosa, visto che non posso mangiare moltissime cose proprio per colpa di alcune alcune problematiche di salute.
Ci sono poi i pregiudizi collegati alle discriminazioni: quella sessista e quella grassofobica, in quanto donna grassa.

La mia rubrica si chiama “Imprenditrici con Stile”, perché vorrei che si scardinasse l’idea che la Donna Imprenditrice debba essere solo quella in tailleur scuro, tacchi alti e valigetta. Io sono, però, convinta che la professionalità vada oltre a quello che decidiamo di indossare al mattino e che i nostri outfit siano un ottimo veicolo comunicativo della nostra personalità. Per questo, vorrei parlare anche del vostro stile personale e del vostro rapporto con la moda.
Nei mesi scorsi hai parlato spesso dello shopping second hand anche per le taglie non conformi. Da dove nasce questa scelta e che valore ha per te?
Lo shopping second hand per me ha un valore molto importante e mi piace parlarne perché è una di quelle di cui non si parla mai abbastanza, soprattutto se collegata a corpi plus size.
Ci sono vari valori che si intersecano.

È importante far capire alle persone che esiste un’alternativa sostenibile.
Quanto è difficile, oggi, per una persona curvy o plus size trovare abbigliamento second hand? E come possiamo rendere questo mondo più accessibile?

Quali sono, secondo te, i benefici di un approccio più sostenibile alla moda, non solo per l’ambiente, ma anche per la percezione che abbiamo di noi stesse?
L’approccio più sostenibile della moda è molto importante, perché la rende più accessibile a tutti gli effetti e permette anche alle persone di poter sperimentare anche con stili diversi, così da creare un racconto della propria personalità.
Penso che questa sia la cosa principale: potersi esprimere e, in questo modo, autodeterminarsi anche con il racconto che si sceglie di fare con i vestiti; il second hand in questo ci viene in aiuto, essendo più accessibile anche economicamente.
C’è un capo vintage o second hand che ha un significato speciale per te?

Com’è cambiato il tuo rapporto con i vestiti nel tempo?

C’è stato un momento in cui la moda è passata dall’essere un ostacolo a diventare uno strumento di espressione personale?
Lo posso individuare nel mio approccio al femminismo, perché mi ha permesso di slegarmi da uno ragionamento estremamente condizionato dallo sguardo maschile e patriarcale. È stato in quel momento che ho lentamente ricostruito.
In estrema sincerità e parlando senza alcuna ipocrisia, sono ancora in fase work in progress, però questo si, in quel momento ho fatto uno switch pesante.
Se dovessi descrivere oggi il tuo stile in tre parole, quali sarebbero?
Alternativo, nero, audace… ma ci vorrei aggiungere anche sexy! Vanno bene anche se sono quattro?
Quanto è importante per te sentirti rappresentata in ciò che indossi, nel contesto professionale e privato?

Qual è la lezione più importante che hai imparato nel tuo percorso, e che vorresti trasmettere a chi ti segue?
Il tuo corpo non è un oggetto che dobbiamo abbellire o agghindare per superare un test, ma è parte ed estensione di noi come soggetti; siamo noi, non è una cosa diversa e questa cosa per me è il vero game changer.
Come immagini il futuro della moda e della comunicazione: più inclusivo, più consapevole o… semplicemente più umano?
Io SPERO diventi più inclusivo, consapevole e più umano, ma soprattutto meno tossico e artificiale, meno problematico, meno oggettificante.
Io vorrei che fosse così: semplicemente più aperto e più inclusivo, ma il termine “inclusivo” non mi fa impazzire. Vorrei fosse più diversificato, ecco.
Se potessi dare un consiglio a una donna che fatica a sentirsi bene nel proprio corpo o a ritrovarsi nello specchio, cosa le diresti?
Le direi che non è colpa sua, non è colpa del suo corpo e che probabilmente non conosce nemmeno una persona che lei è.
Le direi che se non si sente davvero bene con se stessa è colpa di un sistema gigante che ha cercato di incasellarla e di lucrare su quella sensazione che lei sta provando mentre si guarda allo specchio.

Per concludere chiedo sempre alle mie Imprenditrici di lasciare un messaggio alle giovani donne che sognano di diventare imprenditrici. Qual è il tuo messaggio Dalila?

Raccontarsi senza filtri non è mai semplice, soprattutto quando il proprio corpo è un territorio politico ancora contestato. Dalila lo fa ogni giorno, con una sincerità che spiazza e una forza che attraversa ogni risposta.
La sua storia dimostra che stile e attivismo non sono mondi separati: sono modi di occupare spazio, di affermare identità, di immaginare un futuro più giusto.
Il messaggio che lascia alle giovani donne è la sintesi perfetta del suo percorso: un invito alla ribellione dolce, ostinata e necessaria.
Perché i corpi non devono superare test, ma essere riconosciuti come parte piena e dignitosa della nostra persona. E perché il cambiamento, anche quello più difficile, inizia sempre da chi trova il coraggio di dirsi la verità.

